Il popolo più intelligente (che fine ha fatto)

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Buongiorno, mi chiamo Leonardo e sono un determinista geografico – perlomeno nel senso che credo che la geografia determini il modo in cui stiamo al mondo. L'ho sempre pensata così, quindi all'inizio non era che un pregiudizio: ma in seguito non ho trovato che conferme. 

Ad esempio: c'era una volta, ma neanche tantissimo tempo fa, un popolo che per una lunga e complicata serie di problemi era stato costretto a spargersi per il mondo, e inevitabilmente a mescolarsi con gli altri popoli; pur conservando con una certa ostinazione i riti e le leggende di una cultura millenaria. Ebbene, è probabile che questo popolo nei secoli avesse sviluppato una caratteristica peculiare: un'intelligenza media... sopra la media. Possiamo dimostrarlo? No, ma abbiamo molti indizi: il grande numero di intellettuali di spicco, alcuni dei quali diedero letteralmente vita a intere branche della scienza e della filosofia; la quantità di personalità ascese ai livelli più alti della scena politica e finanziaria senza diritto di nascita, o anche banalmente il numero di premi Nobel conferiti. Non bastava nascere in seno a quel popolo per essere più intelligenti, ma in un qualche modo aiutava. Il perché non è chiaro, e ci dà anche un certo fastidio domandarcelo. Si ha sempre paura di fare un discorso razzista.

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Sarebbe senz'altro un discorso razzista, se considerassimo quel popolo una razza (i nazisti lo facevano); ma siccome nel frattempo abbiamo concluso che le razze non esistono, e in particolare non potrebbe esisterne una che si mescoli nei secoli con le altre che incontra sulla strada, l'ipotesi razziale è facilmente archiviata. Più difficile risulta scartare del tutto un'ipotesi genetico-evolutiva, ovvero una tendenza tipica di quella specifica cultura a premiare gli individui più intelligenti, quelli che imparavano a leggere e a calcolare con meno sforzo; magari erano considerati elementi importanti della comunità e stimolati a sposarsi tra loro e ad avere famiglie numerose; laddove in altre culture individui con le stesse predisposizioni venivano persino disincentivati a figliare, mediante l'istituzione di caste di intellettuali celibi (vedi il cattolicesimo). Un altro stimolo poteva venire dall'appartenere, ovunque nel mondo, a una minoranza quasi costantemente minacciata e angariata; il lavoro intellettuale poteva apparire ai membri di questa comunità una via di fuga dai ghetti fisici e virtuali. Probabilmente non lo sapremo mai con certezza e probabilmente è meglio così – a un dittatore distopico potrebbe venire in mente di istituire un ghetto anche solo per verificare l'ipotesi.

Va bene, direte voi, e il determinismo geografico cosa c'entra? Parliamo di uno dei popoli meno geograficamente determinati del mondo! Ecco, appunto. Erano mediamente più intelligenti, erano spesso perseguitati (forse anche per questo motivo), erano sparsi per tre e più continenti. A un certo punto qualcuno di loro ha pensato, e non sembrava una cattiva idea: ma se ce ne tornassimo tutti nello stesso posto? Non necessariamente quello da cui provenivano i nostri antenati duemila anni fa – oppure no, aspetta, tutto sommato la terra costa lì meno che altrove, andiamo proprio lì. Ecco. Che idea potente. Milioni di persone mediamente più intelligenti degli altri, concentrate nello stesso piccolo spicchio di terra. Cosa avrebbero potuto fare, cosa avrebbero potuto diventare? Una civiltà da fare impallidire l'Atene di Pericle; ebbene, dopo qualche generazione oso dire di no. 


Sarò persino più brutale. Sono andati a vivere nel deserto, sono già diventati predoni. La geografia è un destino. Lo dico senza la minima soddisfazione, perché se invece fossero riusciti a farlo fiorire davvero, quel deserto, sarebbe stata una buona notizia per tutti. Ma per farlo fiorire serve banalmente l'acqua; per avere l'acqua bisogna prenderla ai palestinesi, e il resto della storia lo sapete. Dopodiché certo, Israele continua a essere un Paese culturalmente rilevante, con università importanti e intellettuali di spicco. Sarebbe anche il minimo, coi soldi che arrivano dagli USA ogni anno. Ma se andiamo a vedere un po' più da vicino, ecco, nelle università gli studenti urlano insulti ai professori dissidenti. I grandi intellettuali hanno una certa età, i più giovani sembrano meno interessanti e più faziosi: esattamente come in Italia, ma perché avrebbe dovuto finire come in Italia?


C'erano tutte le premesse perché Israele diventasse un faro per l'occidente e il mondo; appunto, c'erano tutte le premesse tranne la geografia: si vede che la geografia è l'unica condizione necessaria. Prendi il popolo più intelligente del mondo, schiaffalo su una strisciolina di terra con poche risorse, in mezzo ad altri popoli ostili, e guarda quanto ci mette a sviluppare un nazionalismo fanatico, e a devolversi anima e corpo a un militarismo spietato. La più giovane delle nazioni occidentali a costituirsi tale è anche il più grande argomento contro il concetto di nazione. E noi che una volta ci misuravamo con scrittori e intellettuali di straordinario acume, ci ritroviamo a leggere il fondo di una tale Dina Porat, "consulente accademica del centro Vad Yashem e professoressa emerita dell'università di Tel Aviv". 

Parliamo di un temino sconfortante, che in futuro magari sarà usato come pietra di paragone per stabilire la degenerazione dell'intelligenza media nel Ventunesimo secolo, probabilmente a causa della concentrazione di polveri sottili. Attenzione, non sto dicendo che la professoressa sia stupida – mai mi permetterei, non la conosco – ma è decisamente stupido il discorso che sceglie di fare: tarato per lettori incapaci di discorsi complessi, che poi saremmo noi che lo leggiamo. La professoressa ci spiega per prima cosa che la mentalità israeliana è per sua natura occidentale. A riprova di ciò cita... niente, assolutamente niente, l'occidentalità degli israeliani è autoevidente, eventuali prove ci affaticherebbero. Il fatto che gli israeliani stiano combattendo una lotta tribale contro altre fazioni tribali, a dispetto di ogni logica strategica ed economica, non deve distrarci. Se anche si stanno facendo terra bruciata intorno, lo fanno con una mentalità occidentale che "pensa seguendo linee logiche, calcola le proprie mosse in base al profitto e mira al benessere di cittadini e nazioni", capito? Noi occidentali siamo così, il romanticismo lo avrà elaborato qualche altra cultura. "La mentalità occidentale, e quella cristiana in particolare, ritiene che gli esseri umani siano fondamentalmente onesti..." No, aspetta.

Chiedo al lettore, se è arrivato fin qui, un piccolo sforzo. Chiuda gli occhi. Pensi a Lutero. Ad Agostino di Ippona. A Paolo di Tarso. E poi rilegga.

La mentalità occidentale, e quella cristiana in particolare, ritiene che gli esseri umani siano fondamentalmente onesti.

Per scrivere qualcosa del genere (e per pubblicarlo sul quotidiano che un tempo era Repubblica), bisogna essere o molto in buona fede, o molto in malafede. Non sta a me determinarlo, ma o la professoressa Porat ignora completamente il pensiero cristiano – il che denoterebbe un tragico abbassamento degli standard qualitativi delle istituzioni accademiche che rappresenta – oppure pensa che ce la beviamo, in fondo figurati se li studiamo davvero, quei Luteri e quegli Agostini.

Ci sta blandendo, proprio come un accorto mercante beduino blandisce il cliente frescone. Ed eccoci davanti al paradosso del bugiardo: se la prof.sa Porat ci sta prendendo in giro, non è "fondamentalmente onesta", e quindi non è così occidentale come vorrebbe sembrare, anzi starebbe facendo prova di astuzia levantina... oppure no, è perfettamente occidentale, tranne che la cultura occidentale non è così logica e consequenziale come lei sostiene che sia: magari mira davvero al "benessere di cittadini e nazioni", ma nel farlo non si preoccupa di dire bugie e causare il malessere di altri cittadini, altre nazioni. Non saprei. Mi sembra tutto così avvilente. Forse la Fallaci era scesa così in basso, ma era anziana, era malata ed era il Corriere, ventidue anni fa. Da tanti errori dovremmo avere capito qualcosa e invece no, siamo ancora allo stereotipo dell'occidentale onesto che non capisce il beduino astuto e malvagio. Tranne che anche questa propaganda di basso livello intellettuale cosa ormai l'abbiamo delocalizzata, la facciamo scrivere direttamente ai beduini.  

Quando i leader e gli opinion maker israeliani e occidentali pensano all'Islam e ai musulmani lo fanno sulla base del proprio modo di pensare e delle proprie convinzioni, e non su una profonda e attenta conoscenza della mentalità e delle convinzioni dei musulmani. Credono ciò che vorrebbero fosse vero. Questo è il motivo per cui di fronte ai fatti del sette ottobre Israele si è trovata impreparata...

Ah, ecco, questo è il motivo. Pensi che ingenui, professoressa; noi credevamo che il governo israeliano si fosse trovato impreparato perché incompetente, assorbito dalle beghe interne, e non del tutto ostile all'eventualità che qualche miliziano producesse un casus belli prima delle elezioni USA del 2024. Mentre invece ora è tutto chiaro: non se l'aspettavano perché erano occidentali, cioè un po' cristiani, cioè un po' ingenui, incapaci di concepire la malvagità del nemico. Inoltre la terza guerra mondiale è in pratica già scoppiata, perché Hamas è un emissario dell'Iran, che "ha stretto un'alleanza con Russia e Cina. I tre Paesi sono ferventemente anti-americani e anti-occidentali, e quindi ostili ad Israele e agli ebrei". Quante volte ci è capitato di dircelo in questi anni: chi aspetta i barbari, molto spesso non sa di esserlo. La professoressa è convinta di fare un discorso "occidentale": razionale, cartesiano, utilitaristico. Laddove sotto una paginetta del genere l'Occidente è morto, o quantomeno riavvolto fino al secolo XI: qualcuno dal balcone ci sta chiamando alle crociate, i cristiani sono buoni e i mori sono cattivi. Certo che questi discorsi si leggevano anche vent'anni fa. Su Libero, sul Giornale. Oggi arrivano su Repubblica, e infiammano quel che resta di una borghesia che, nello spicchio che intravedo da Twitter, mi sembra completamente sconvolta dagli eventi: hanno investito molta emotività su fronti che non stanno reggendo. L'Ucraina è un baluardo dell'Occidente – salvo che il fronte cede; Israele è un baluardo dell'Occidente – peccato che stia commettendo crimini contro l'umanità. Ormai vedo professori cattedratici buttarsi su Milei, il quale per quel che ci è dato da capire ha una concezione dell'economia tanto facilona quanto facilone è l'approccio della Porat al conflitto israelopalestinese. Stiamo diventando tutti scemi? Sono le polveri sottili? O la semplificazione intellettuale e linguistica è quel che avviene quando comincia una guerra, e la guerra è appunto già cominciata?


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I falsi e i veri lemming

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Non so quanto c'entri con quanto detto fin qui, ma invecchiando mi scopro sempre più determinista genetico. Si tratta a dire il vero di una tendenza con cui combatto sin da quando sono cosciente (credo di averlo scritto all'inizio di questo sito web): io tra gene e ambiente sono uno che ha deciso di tifare ambiente non perché sia convinto che il gene sia meno importante, anzi il contrario; è solo che sul gene mi rifiuto di intervenire, il Novecento mi sembra un monito significativo in tal senso, e quindi se voglio modificare la società non mi resta che intervenire sull'ambiente - ma con gli anni si ingrossa il dubbio che più che una scelta sia un ripiego. Anche la paternità avrà avuto il suo peso: a un certo punto non ci puoi fare niente, vedi i tuoi geni che se ne vanno in giro e per quanto cerchi di evitar loro tutta una serie di guai che a questo punto indovini benissimo, ti rendi conto che non ci puoi far niente, è come aver caricato un giocattolo a molla, ma sto divagando.


Invecchiando divento sempre più darwiniano, come gli "scienziati" dei giornali di quando ero bambino che ogni settimana scoprivano il gene di qualcosa di diverso (il che mi innervosiva immensamente): il gene della fantasia, il gene dell'originalità, a un certo punto scoprirono pure il gene dell'omosessualità, il che mi perplesse molto perché non capivo come potesse diventare dominante (in seguito forse ho capito). Adesso che queste cose mi sembra vadano molto meno di moda, sono io che invece continuo a osservare i miei simili e fantasticare continuamente di vantaggi evolutivi. Vedo un falò: come quando ero bambino, il fuoco mi ipnotizza, potrei passare ore a guardarlo. Penso a quanto fu fantastico a un certo punto trovarsi un camino in casa, imparare ad accenderlo, rischiare la vita centinaia di volte, puzzare di fumo, scottarsi la lingua con le caldarroste, ora so che nel frattempo inquinavamo l'ambiente più che con il turbodiesel, ma poi crescendo vedevo i miei compagni di scoutismo che non avevano un camino in casa restare ipnotizzati davanti allo stesso sortilegio nel quale io ormai mi destreggiavo, mentre loro rischiavano di bruciarsi le ali come insetti intorno a una lampadina. Ma non faccio in tempo a formulare il ricordo che sto già pensando al vantaggio evolutivo che premiò i miei antenati che invece di scappare davanti a un tronco colpito da un fulmine ebbero la pazza idea di restare nei pressi e cercare di capire come funzionava, folli! chissà quanti ne morirono, e malissimo! ma poi venne qualche glaciazione e alla fine chi sopravvisse furono proprio i folli piromani, che poi siamo noi, chi più chi meno. E così via. Una volta penso al fuoco, un altra volta al rumore, in generale a qualsiasi cosa apparentemente fastidiosa e pericolosa ma in sostanza vitale, che risvegli in noi sia la paura, sia il desiderio di sopraffarla. 

A volte penso ai lemming: e anch'io non penso a quelli veri, ma a quelli che a un certo punto l'uomo si è inventato, quelli che decidono di sterminarsi. Chiunque abbia formulato la leggenda, è chiaro che aveva in mente più i suoi simili che qualche roditore dei ghiacci. Stava cercando un modo per descrivere le psicosi collettive, crociate dei fanciulli, le guerre inutili (cioè tutte, viste dalla debita distanza), tutte quelle situazioni in cui una massa di persone sembra volersi annientare e c'è sempre un metodo, nella loro follia: c'è sempre la convinzione di rendere al resto dell'umanità qualcosa di utile. Tra le tante leggende che serpeggiano nel sottobosco dei noVax, una delle più rivelatrici mi sembra quella che vede nel vaccino un espediente creato da Bill Gates, il quale, dopo aver calcolato che l'umanità deve ridursi del 10%, ha prima introdotto il virus per spaventarci, e poi il finto vaccino che opererà questa demoniaca riduzione. (Prevedo l'obiezione: ma Bill non poteva semplicemente ammazzarci con un virus, invece di tutta questa manfrina? Probabilmente all'inizio la leggenda non prevedeva il vaccino, e poi si è adattata alla situazione). 

La leggenda suona simile a quelle fiorite in ambito sciachimista (le scie chimiche sarebbero parte di un piano per ridurre la fertilità). Sono tutti spettri malthusiani e c'è da domandarsi se non siano persino ottimisti: magari bastasse ridurre la popolazione del 10%, magari bastasse spargere un po' di bromuro per risolvere la sovrappopolazione e il surriscaldamento. Ma quel che mi ipnotizza di queste fantasie, come il fuoco quand'ero bambino, è l'inferno interiore che rivelano: non è Bill Gates che vuole ridurre la popolazione, sono loro che inconsapevolmente ci stanno provando. Sono gli apostoli del Covid, che molti ancora non hanno preso ma non vedono l'ora e faranno tutto quello che possono per passarlo ai loro cari, ai colleghi, agli studenti. Quando ci fu il lockdown non sopportavano il lockdown, il che è comprensibile perché durò mesi: ma loro erano già a spasso a starnutire fuori dalla mascherina dopo due settimane. Quando arrivarono i vaccini, decisero immediatamente che erano sieri sperimentali non sperimentati abbastanza, e ora eccoli in piazza a intervalli regolari, inconsapevolmente decisi a creare almeno un focolaio in ogni città. Se davvero Bill Gates fosse il Thanos della leggenda, è loro che finanzierebbe e ispirerebbe: e qualcuno del resto li ispira davvero, lo si intravede nel modo in cui a raggiera condividono i loro slogan. Ma potrebbe anche non esserci nessun grande vecchio dietro, potrebbe essere l'istinto a guidarli verso i crepacci; la follia che apparentemente li contagia potrebbe essere un vantaggio evolutivo. 

Forse sopravviviamo come specie perché ogni tanto una parte di noi oscuramente avverte di aver saturato il proprio ambiente naturale e si autodistrugge. Forse il diluvio l'abbiamo causato noi, disboscando qualche altura di troppo; di certo la crisi del Trecento l'abbiamo causata noi (anche in quel caso sovrappopolazione e disboscamento, ancora prima che arrivasse la peste). Quando si può fare una guerra, la facciamo; ma in molti posti non si può fare più, causerebbe la mutua distruzione, e allora ritorniamo ad altri sistemi già testati e attestati, come la pestilenza. Ma se è quello che sta succedendo, che senso ha provare a ragionare coi noVax? Non solo il loro comportamento è istintivo, ma cosa ci sarebbe poi di sbagliato nel loro istinto? La scienza e la politica stanno cercando di salvare più umanità possibile, nel solito goffo modo, con le goffe equazioni utilitariste per cui la vita di due uomini dovrebbe essere meglio della vita di uno solo eccetera. I lemming inconsapevolmente intuiscono che l'umanità si salva in un altro modo: potando molti rami per salvare il fusto. La politica non saprebbe che rami potare, i regimi totalitaristi forse possono abbozzare un piano ma le democrazie non sono in grado di sostenere calcoli di questo genere, sono intelligenze fragili che vanno in crash al primo dilemma del trolley. I lemming non fanno calcoli, non cercano di salvare sé stessi o i loro congiunti (ovvero, proprio mentre credono di salvare sé stessi, si proiettano più direttamente nei crepacci). Il loro unico piano è scritto nei loro geni, come una bomba a tempo. Sì, qualcuno di loro è convinto di essere intelligente, alcuni sono intelligenti addirittura di mestiere e sono convinti di avere un sacco di argomenti per mandare i simili al massacro. Hanno studiato il Novecento e quindi si aspettano che si ripeta prima o poi, non necessariamente in farsa. Ma non sono i capibranco, raramente li vedi in testa a una colonna di roditori, insomma è inutile prendersela con loro. Sono meno intelligenti di quel che credono? In un certo senso sì. Non capiscono quello che stanno facendo? Non del tutto. Hanno torto a fare quello che stanno facendo? Non lo so, vedremo.

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questa mano non esiste piùTre anni
(e neanche una nozione superflua)

Io non so, onestamente quanti anni impieghi un corpo umano a rigenerare tutte le sue cellule, per cui si possa dire che è realmente diventato un altro corpo rispetto a tot anni prima. Sarà scritto da qualche parte che non trovo.
Non so neanche dopo quanti anni un’accusa cada in prescrizione.

Quello che so è che tre anni di solito sono il limite a partire dal quale le cose che ho scritto non le ho più scritte io, le ha scritte un altro, e non ha più molto senso correggerle o tentare di fare una figura migliore di quella che ormai s’è fatta. Magari se rileggo posso essere d’accordo, come capita di andare d’accordo con estranei che non si è mai visti in faccia (“toh! Questa cosa avrei voluto scriverla io… ah, aspetta, l’ho scritta io”).

Questo significa, tra l’altro, che le ragazze, signorine e signore in possesso di lettere firmate da me entro e non oltre la data del 26 gennaio 2001 sono pregate di non ritenerle più valide, distruggerle se è il caso, oppure continuare a leggerle e sghignazzare ma non attribuirle più al qui presente, che nel frattempo ha totalmente rigenerato le sue cellule ed è un altro uomo.

Significa anche che le pagine più antiche di questo sito, che sabato ha compiuto tre anni, stanno per scivolare inesorabilmente nella maturità: sono documenti di una persona che esisteva tre anni fa e che non ha ormai più nessun potere su di loro. Il bello è che tra tre anni succederà lo stesso di queste righe. (L’idea che si muore un po’ tutti i giorni mi dà una certa vertigine).

***

Il bilancio del 2003 ve lo risparmio. Fino a novembre gli accessi sono cresciuti, poi sono un po’ calati. È anche calato il mio interesse per gli accessi. Per un po' sono diventato il primo risultato mondiale per “Leonardo” su Google, il che è assurdo (in questo momento sono il n.2). Stavo pensando di usare il blog diversamente, scrivere meno e un po’ meglio, ma non è semplice. Scrivere è una ginnastica, e purtroppo per avere un paio di cose buone la settimana devo riscaldarmi con altre due o tre scemenze di contorno.

A complicare la cosa, molto spesso quello che io reputo scemenza può piacere a parecchi, e la “cosa buona” passare nell’indifferenza (o nell’imbarazzo) più totale. È per questo motivo che quindici giorni fa avevo chiesto ai lettori di esprimere una preferenza sui post di quest’anno: non è che abbiano risposto in tantissimi, eh? In ogni caso il vincitore della consultazione è questo. E mi pare un degno vincitore, per vari motivi:

1. Mentre di solito faccio le ore piccole a limare periodi, questa è appunto una scemenza scritta di getto in un dopopranzo.
2. Mentre di solito d’inverno qui si scrive a lambrusco, questo post andava a trebbiano.
3. Alla faccia di tutti quelli che mi danno del professorino, questo post è un inno alla crassa ignoranza.
4. Varie persone ci si sono riconosciute, e hanno voluto contribuire. Io non sono molto bravo nei lavori di gruppo, però sono contento di averci provato.
5. Per quanto scemenza, il Simulator ha dimostrato di funzionare benissimo, e io ne sono la prova vivente. Sul serio, io mi sto facendo strada continuando a raccontare palle come la leggerezza di Calvino. E la gente mi dà del professorino. Nel mondo dei ciechi il guercio è un re, chi l’ha detto? (non so neanche quello).
6. Per quanto scemenza, il Simulator è un’applicazione di uno dei principi fondamentali di questo blog sin da quando un tale (che nel frattempo non esiste più) cominciò a scrivere i primi post nel gennaio 2001: la critica al concetto di cultura. Cosa intendiamo con cultura? L’insieme di cose che sappiamo? Non più. Da un po’ di tempo a questa parte la cultura è diventata l’insieme di cose che fingiamo di sapere, o (nel migliore dei casi) le strategie che mettiamo in atto per fingere di sapere alcune cose.

I primi mesi di quel 2001, del resto, furono un periodo molto interessante. Tra le altre cose si finì di mappare il genoma umano, giungendo così (credo) alla dimostrazione scientifica che il concetto di razza non ha senso. Un po’ troppo tardi per evitare la tratta degli schiavi e Auschwitz, ma meglio di niente.
La destra identitaria aveva però già fiutato l’aria da un pezzo, e si stava ricalibrando su un nuovo concetto: la cultura, la “civiltà”: The Clash of Civilizations, come si chiamava il saggio di un professore americano che sbagliava le cartine. E fu il defunto Edward Said a ribattezzarlo The Clash of Ignorance. Avevano ragione entrambi: Civilization, Ignorance e Cultura sono tre parole per la stessa cosa. Una cultura non è fatta di nozioni, ma di finzioni, e si caratterizza più per le cose che sceglie di escludere che per quelle che include. E qui arrivano i blog, che ci servono proprio a definire la nostra “Cultura”, la nostra “Civilization”, la nostra “Ignorance”: si tratta di scegliere quali nozioni non c’interessano e quali vogliamo fingere di possedere.

Dal 2001 in poi ne abbiamo fatta di strada, e ne abbiamo scritte e lette, di scemenze. Cultura occidentale, Guerra Globale, Guerra al terrorismo, Islam terrorista, Islam moderato… un giorno (spero in meno di tre anni) tutti questi concetti ci sembreranno campati per aria come oggi ci sembrano campate per aria le speculazioni degli scienziati ‘ariani’ sul “primato della razza”.
Nel frattempo, se il discorso v’interessa, credo che continuerete a trovarmi in questo settore della barricata: là dove non solo si rifiuta a priori il concetto di “cultura”, il concetto di “civiltà”: ma si cerca in un qualche modo di dimostrarne l’impossibilità scientifica, così come nel 2001 è stata dimostrata l’impossibilità scientifica del concetto di “razza”. La demolizione della razza spettava ai biologi: la demolizione della cultura dovrebbe essere il lavoro degli umanisti. Non male come missione.
Ma credo che a un obiettivo del genere valga la pena di dedicare il proprio tempo libero, se non la propria vita. (Magari tra tre anni la penserò diversamente).
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In uno dei molti articoli di commento che accompagnano la duplice pubblicazione delle sequenze del genoma umano, il genetista francese Jean-Michel Claverie scrive su "Science" che "un numero tanto basso di geni costituisce un cambio di paradigma, che potrebbe modificare radicalmente la nostra comprensione della complessità degli organismi e dell'evoluzione". Un cambio di paradigma che potrebbe costringerci a rivalutare completamente il peso del controllo della componente genetica su quello che siamo e facciamo, rilanciando il ruolo dell'ambiente e la sua interazione col genoma. Una vera e propria rivoluzione, insomma, che sembra dar ragione ai molti, anche tra i genetisti di punta, che combattevano da tempo il cosiddetto "determinismo biologico": una visione tutto sommato meccanica del vivente, e a quanto pare lontana dalla realtà.

Ha vinto l'ambiente
Non so voi, ma io sono proprio contento. Anche se non saprei dire cosa sia esattamente questo famoso genoma, se è vero che l'ambiente ha vinto sull'ereditarietà, io sono proprio contento. Ho sempre tifato ambiente; sin da quando vidi per la prima volta Una poltrona per due di Landis (con Eddie Murphy e Dan Aykroid, Akyroid... acc... insomma lui) io ero il vecchietto che puntava sull'ambiente e alla fine si aggiudicava il dollaro in palio.
Ci sono stati anni cupi in cui i dubbi mi tormentavano. Ogni tanto accendevi la tv e sentivi dire: Abbiamo scoperto il gene di questo, abbiamo scoperto il gene di quello. Il gene della timidezza. Il gene dell'intelligenza. Il gene dell'esuberanza sessuale. E insomma! Non solo i nostri guai diventavano incurabili, ma dovevamo anche passarli ai nostri discendenti. Questi insigni ricercatori non saranno mai sfottuti abbastanza. Sborsate pure cifre abominevoli per aggiudicarvi il copyright sul gene dell'autostima... Oggi leggo che il concetto di razza è scientificamente out, dico, non è una bellissima notizia?
Però anche i quei giorni mi dicevo, come Dostoevskij, che anche se si fosse scoperto che l'ambiente non c'entrava, noi dovevamo ostinarci a credere nell'ambiente, altrimenti dove andrebbe, tutta la poesia della nostra umanità, il famoso libero arbitrio? Noi valiamo qualcosa soltanto per la nostra capacità di cambiare le carte in tavola, di tradire le premesse da cui siamo generati. Almeno io la penso così, ma fino a ieri questo era solo un atto di fede. Adesso è qualcosa di più.
Chissà, forse da qui può nascere un'inversione di tendenza. Ora che sappiamo che l'ambiente è il importante, forse ricominceremo a occuparcene. Potrebbe persino tornare di moda la politica, intendo quella seria. Insomma complimenti. Oggi mi sento come se se stessero distribuendo il gene dell'allegria. Gratis.
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